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MURI SENZA... Riflessioni sulle fotografie di Michel Rosenfelder. Parlando dell’uomo si può e si deve parlare anche di muri! Da quando ci è noto nella forma più evoluta di sapiens, tirare su qualcosa che lo proteggesse da pericoli esterni è stata un’esigenza ricorrente oltre che un ottimo indicatore del livello di progresso tecnologico di volta in volta raggiunto. Ed è fin troppo evidente che per l’uomo costruirsi un elemento a difesa della propria incolumità fisica, presto abbia coinciso con la custodia di un insieme di valori condivisi con altri uomini, con la preservazione di un’idea di società. Ma per chi voglia affrontare l’argomento da un punto di vista più squisitamente storico, politico e sociologico, rimando volentieri a un’amplissima bibliografia esistente in merito. Qui mi limito a segnalare un paio di titoli, ‘Stati murati, sovranità in declino’ della filosofa statunitense Wendy Brown e ‘Muri. Un’altra storia fatta dagli uomini’ dello storico francese Claude Quétel. Però un muro, da semplice strumento di protezione, può diventare palcoscenico creativo ed espressivo, fonte d’ispirazione per l’arte e attraverso l’arte connotarsi di significati che alcuna scienza o filosofia, per quanto erudita, potrebbe mai cogliere. Un muro, sotto tale veste sarà elemento di unione piuttosto che di divisione, potrà farsi persino luogo di sperimentazione. Allora diventa decisivo lo sguardo, sì, sempre lui, lo sguardo, ovvero quell’abilità misteriosa che hanno gli artisti di vedere al di là delle convenzioni (il muro è certamente una convenzione) la natura profonda delle cose, la loro essenza più intima, catturandone aspetti non immediatamente visibili a occhio nudo. Siamo qui al livello dell’umano che si fa strumento di conoscenza per trasgredire i limiti che gli sono assegnati biologicamente. Lo sguardo vale come un esercizio particolare dell’occhio in grado di focalizzare il dettaglio, la cifra misteriosa di un segno, la sua corrispondenza diretta con l’universo. E servono anche l’immaginazione e la fiducia che tutto questo possa tradursi in una versione modificata, integrata, quindi impreziosita della realtà. Fra tutte le forme di espressione, la fotografia occupa un posto speciale, certamente privilegiato per trattenere la consistenza di una visione altrimenti destinata all’evanescenza. E lo fa nella maniera che le è propria, la registrazione permanente su di un supporto delle interazioni tra luce e materia. Se applicata alla rappresentazione di un muro, la sua specificità emerge in tutta evidenza. Perchè la fotografia tratta questa superficie al pari di un corpo vivo, di uno scorcio di natura, non la abbellisce, non la decora, non la riempie come invece farebbe un moderno affresco o uno stencil, semplicemente ne fissa l’esistente senza altri interventi, certificando con uno scatto, che un laterizio di pietra o mattoni ha delle stagioni, un proprio carattere, una propria identità, e che già questo è sufficiente per farne un soggetto da ritrarre. Soltanto la fotografia e il cinema, riescono in questo rigoroso esercizio di forma coincidente con sostanza dell’immagine. Ci ha provato certa pittura iperrealista senza ottenere gli stessi risultati, perchè anche in quel caso ha prevalso l’interpretazione della realtà rispetto alla ricerca della sua natura intrinseca. Persino Leonardo, genio rinascimentale, maestro nell’invenzione, suggeriva di andare talvolta a vedere vecchi muri e guardarli finchè si avesse la visione di un quadro, come a intenderne la carica indipendente e fortemente evocativa. Michel Rosenfelder sembra aderire a questa lettura dell’esistente, con una serie di scatti fotografici aventi per focus proprio i muri, il cui spazio non più soltanto euclideo, diventa luogo dove per incanto affiora il non ancora detto, il non ancora visto nelle sue più variegate sfaccettature. In effetti il fotografo francese non piega mai l’immagine in suo favore, non la carica di significati simbolici, evita accuratamente l’autoreferenzialità, piuttosto con l’inquadratura scelta, rafforza l’attenzione prestata sul particolare. In questo meccanismo selettivo, non si assiste tanto alla volontà di circoscrivere in maniera artefatta una porzione di realtà, quanto invece al potenziamento della cura su di un dettaglio che non nega il tutto ma lo esalta come ne fosse una formula. Al termine di questo processo, a essere cambiato sarà il livello di attenzione su ciò che costituisce la fotografia finale, non la coscienza dell’intera immagine scattata all’inizio e dalla quale poi è estrapolata. Gesto artistico di indubbia matrice concettuale, che fa decisamente leva sull’architettura formale di ciò che viene elevato al rango di immagine. Perchè se è vero che nessun intervento viene effettuato sullo spazio del muro, nessuna pulitura della sua superficie, nessuna aggiunta segnica o sottrazione materica preliminare allo scatto, nessuna manipolazione in fase di sviluppo, molto viene invece deciso a livello intellettuale sulla sezione che poi ne costituirà l’opera definitiva. Ma anche in questo caso non vi è alcuna imposizione preconcetta. Le immagini ottenute, volutamente prive di un retropensiero, sono rarefatte e per altri versi magmatiche, così da portare immediatamente a un altro piano della ricerca di Rosenfelder, consistente sì, in un mondo circoscritto consegnato al fruitore, ma tale da consentirgli di rinvenire in ciascuna di quelle sezioni, l’habitat entro cui organizzare una narrazione ideale sulla base delle proprie sensibilità. E’ emotivamente sorprendente, quasi struggente, constatare come da un muro, espressione di possenza quando non di vera e propria cesura spaziale, possano estrarsi tanti universi per loro definizione aperti, e che questo meccanismo virtuoso venga appena sollecitato dall’artista ma portato a compimento da quanti vorranno calarvisi con lo sguardo. Mentre l’artista non avrà affatto la sensazione di perdere i punti cardinali della sua ricerca, ma al contrario di esserne rimasto fedele avendo volontariamente consegnato ad altri la bussola per muoversi liberamente al suo interno. Secondo Derrida, esiste un modo di vedere che può essere tradotto in segno e ha a che fare in parte con la vista e in parte con il gesto. Pur se riferito dal filoso all’azione del disegnare e alle sue diverse implicazioni di ordine estetico, questo concetto, liberamente interpretato, qui può intendersi come una relazione funzionale in fotografia, tra il gesto eminentemente tecnico dello scatto e l’osservazione a occhio nudo. Questi due fattori si fonderanno poi in un’unica risoluzione visiva entro il rapporto sinergico fotografo/fruitore dell’immagine alla maniera auspicata da Rosenfelder, quale avveramento di un’organizzazione più ampia e complessa del guardare. Dunque il gesto come modalità dello sguardo esperito su più piani, come processo creativo, come arte applicata. E di quest’ultima, è utile dare conto di alcune note informative. Per il ciclo di opere esposto a Cesena a cura degli architetti Marisa Zattini e Augusto Pompili, presso la loro Galleria ‘Il Vicolo’ e la Chiesa di San Zenone, Michel Rosenfelder ha utilizzato una macchina numerica Canon EOS, collocata su tripode per una migliore definizione. La fase di sviluppo effettuata con impressione a laser senza inchiostro, denominata Lambda, riproduce la stampa classica in camera oscura, offrendo la possibilità di riprodurre in grandi dimensioni. Le foto sono infine applicate su supporto Dibond, piastra in alluminio particolarmente resistente. Scelte meditate, studiate a tavolino, quelle del fotografo francese, e adesso sembrano profetiche le parole che scrisse secoli fa il poeta inglese Andrew Marvell tanto caro proprio a Derrida: ‘Aprite dunque, occhi miei, la vostra doppia chiusa/ ed esercitate così il vostro nobile officio/ poiché altri possono ugualmente vedere o dormire/ ma solo gli occhi umani possono piangere.’ Una considerazione finale. Con le fotografie di Michel Rosenfelder assistiamo alla magia che solo l’arte ci può dare. Laddove le congetture si arrestano di fronte a un dato che non ha una spiegazione logica, l’arte trova la forza e il coraggio di spingersi oltre il razionale senza il timore dell’inadeguatezza. Se i muri sollevano problemi di ordine etico, politico, giuridico, in arte sono proprio i muri a essere sollevati dalla loro sede, come piante che vengono estirpate avendo esaurito il loro ciclo vitale. Con la differenza che qui nessuno vuole abbattere e quindi eliminare ciò che qualcuno ha costruito, anche se per dare sfogo ai peggiori istinti umani. A Berlino, a distanza di tempo dai fatti del 1989 qualcuno si è infatti chiesto se sia stato giusto farlo. Perchè la storia continua a procedere indipendentemente dal venir meno dei suoi simboli positivi e negativi, avanzando di generazione in generazione attraverso l’esperienza e l’elaborazione di un pensiero conseguente. Michel non indaga colpe o virtù ancestrali dell’uomo, ne ricerca invece le forze inespresse, così i suoi muri diventano i nostri muri senza, senza barriere, senza perimetri, senza confini, senza frontiere, senza fondamenta, come piattaforme celesti entro cui l’umanità possa sempre muovere in direzione del sapere. Domenico settevendemie
Domenico Settenvendemie
Domenico Settenvendemie
La vie de Michel Rosenfelder est une succession de ce qu’il appelle « hasards » et que le poète Paul Eluard a nommé « rendez-vous ». Michel Rosenfelder a commencé à mettre sa sensibilité artistique au service de la mode alors qu’il se destinait au design. Sa rencontre avec la maison Kenzo - pour laquelle il a travaillé pendant 20 ans - a affiné une réceptivité visuelle accrue. Passionné de voyages, ses pas l’ont porté vers maintes destinations - que ce soit pour des raisons professionnelles ou personnelles - à la découverte de grands espaces, de villes, de personnes… En 2008, un déclic se fait alors que l’artiste se trouve à Bizerte, en Tunisie. Son regard est attiré par les murs, plus précisément les traces laissées sur les murs, ces salissures et autres dégradations causées par le temps qui passe et les érode. C’est comme une illumination, celle que Marcel Proust a pu avoir devant le petit pan de murjaune du célèbre tableau de Vermeer. Equipé alors d’un simple Lumix compact, il souhaite retenir ces visions oniriques et se met à photographier ce que son oeil perçoit. « Il faut que le hasard renverse la fourmi pour qu'elle voie le ciel» dit le proverbe arabe Cette première émotion ressentie à Bizerte s’est développée pour s’amplifier ensuite au Vietnam et ailleurs. Son oeil, au travers d’un appareil photographique plus sophistiqué, continue de figer ces images comme des tableaux qu’il se plairait à peindre.
C’est lors d’un voyage que Michel Rosenfelder a trouvé sa voie artistique. Au détour d’une ruelle de Bizerte en Tunisie le photographe a pris conscience de l’histoire que raconte les murs et de la beauté qui s’y rapporte. Le temps a fait son oeuvre et Michel Rosenfelder en a tiré son art.Issu de la mode, le regard expert de l’artiste scrute les surfaces à la recherche d’une âme, d’un morceau de vie ou d’histoire. Craquelures, portraits ou spectres d’un autre temps sont les modèles recherchés au cours de ses déambulations autour du monde. http://newsarttoday.tv/expo/michel-rosenfelder-galerie-leurope/
« A Life, A look » est sûrement une de mes rubriques préférées car elle me permet de vous présenter plus en détail, des individus avec de multiples talents et passions. Des personnalités qui me ressemblent, qui me touchent plus particulièrement et que je nomme « individus couteau suisse »… Quand l’on m’a parlé de Michel Rosenfelder et de son travail de photographe, je me suis jetée sur mon clavier afin de « google-iser » l’individu et là que ne fut pas ma surprise en découvrant son travail !!!! Les neurones un peu perdus je me retrouvais face à des…peintures /// Enfin ce que je croyais être des peintures car en fait, là est tout le Génie du Monsieur… C’est donc avec empressement que je prends rendez vous avec lui afin de faire une interview. Pour être honnête quand je l’ai vu j’ai oublié les photos, les peintures, les peintures-photos et je suis arrivée tout sourire car l’homme est …Awesome, charming, bref craquant !!! Mais bon je suis une pro donc je me comporte en pro « mode interview »: Bien qu’attiré par une formation de Designer, Michel Rosenfelder suit finalement en 1990 une voie généraliste en Commerce International, et il intègre la Maison Kenzo en 1992. Il participe au développement de l’Homme pendant 20 ans, occupant successivement les postes d’Attaché Commercial, Chef de Produit, Directeur de Collection, Directeur de Style et Vice Président. Il poursuit, par ailleurs, ses activités dans les métiers de la mode et du luxe en tant que consultant, mais se consacre aujourd’hui à sa vraie passion, la photographie. Durant dix ans, il collabore étroitement avec Roy Krejberg, Directeur Artistique sur l’Homme, et ce dernier lui apportera cette nécessité d’avoir un œil sélectif sur les choses, cette rigueur et cette cohérence que l’on retrouve dans son travail de photographe. De ses 5 années de collaboration avec Antonio Marras, autre Directeur Artistique de la Maison, il retiendra cette capacité à faire du très beau avec presque rien, tel un génial bricoleur artistique, ce dernier va le libérer de cet acte créatif parfois oppressant. Ainsi, c’est lors de ses nombreux voyages que ses premiers clichés de surfaces verront le jour en 2008 et 2012 sera la vraie naissance du projet « Les peintures du temps ». Il se prend vite au jeu des colorations, des dégradés, des matières, et patines sur les murs qu’ils croisent au grès des ses déambulations internationales. De ses textures et motifs cachés que l’on peut interpréter en fonction de son ressenti du moment, il en ressort un travail visuel, pictural à l’émotion brute. C’est cette accumulation de visuels, ce jeu de collection qui fait de ce travail un vrai projet, un concept photographique et pour ma part une vraie découverte. On sent l’empreinte de la mode, l’amour du textile et du détail dans l’œil de Michel Rosenfelder . Ces photos sont puissantes, subtiles, abstraites et violemment sensibles…On en envie de les posséder, de les mettre sur nos murs ou de les imprimer sur un de nos vêtements fétiches! VERDICT: Définitivement « Guilty of talent »… Murielle Bourdette-Menaut www.abeas-corpus.com
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